fiuma

fiüma
Spettacolo multimediale dell’artista mantovana Ornella Fiorini

“Ho ascoltato le parole della gente e della natura.
Ho imparato molte cose senza leggerle sui libri.
Sono cresciuta in barca, con mio nonno che era (anche) un pescatore.
Con lui, in quel mondo d’acqua e di silenzio,
ho capito subito di quanta ricchezza potevo beneficiare”.

fiüma è un libro (edito da Associazione Mantovani nel Mondo – Onlus, 2009) e uno spettacolo multimediale: un racconto espresso in dialetto mantovano (ostigliese), con poesie e canzoni di Ornella Fiorini, accompagnato dalla proiezione di immagini: dipinti, disegni e fotografie realizzati da Ornella stessa.

La musica è affidata al gruppo internazionale che accompagna Ornella:
• Riccardo Cappelli (chitarra)
• Amanda Verger (violino)
• Rolli Vasquez (flauto e percussioni)

Il filo conduttore è il fiume Po, in dialetto appunto la fiüma, che con i suoi colori, le sue genti, il suo spettacolare panorama è fonte di ispirazione per le opere di Ornella Fiorini.

Un fiume al femminile, un fiume di doni e di donne. Donne che hanno contribuito, con la forza delle loro mani e del loro cuore a costruire il nostro presente. Un fiume di case, di terra, di figli, di fuoco, di cenere bollita sopra lenzuola insaponate, battute sugli scanni a mondare gli inverni, e panni risciacquati nell’acqua del Po e dei fossi, candidi di fatica e di innocenza.


Scheda tecnica – per l’organizzazione dello spettacolo, la dotazione ideale è:
• mixer 8 canali
• 4 microfoni
• proiettore
• schermo


Nota di G. Lucini

fiumaOrnella Fiorini non è nata letterata: faceva l’estetista ad Ostiglia, in provincia di Mantova, dove è nata ed abita ancor oggi. Oggi il suo nome, nel mondo della canzone, non è sconosciuto. La vediamo ai più importanti appuntamenti e nei teatri celebri di Milano, come l’Arcimboldi, a fianco di artisti del calibro di De Gregori, Van de Sfross (che non è un nome olandese, ma in dialetto lombardo significa “va’ di nascosto, vai in sordina,” o anche “d’azzardo, dove non si può” perché “de sfross” è quasi intraducibile e assume significati diversi), Teresa De Sio e altri VIP del settore.

Ci è arrivata con tenacia, armata della sua chitarra e delle storie che sentiva raccontare dai suoi clienti e dalla gente umile della “Bassa”, contadini, mondine, operai. Armata di una chitarra e di una prosodia semplice, quella imparata a scuola, senza porsi grandi riflessioni sulla poetica o interrogazioni sul senso della poesia nel nostro tempo, Ornella ha cominciato a remare, ossia a scrivere canzoni, fidandosi del suo istinto e della sua sensibilità. Le sue melodie sono semplici, pulite, senza pretese, ma piacciono per il loro decoro. I testi sono la vera anima della sua canzone e anche qui si tratta di testi semplici, commossi, attenti alla gente, al paesaggio, ai sentimenti più veri degli abitanti della “Bassa”, e sullo sfondo il grande Po, la pianura in ogni stagione, con la sua pace, le sue braccia allargate. Una pianura certo sempre più lontana, nel tempo, ma che ancor oggi regala, a tratti, la sua magìa che sembra scaturire dall’eterno, da un tempo senza tempo. D’altra parte, tre bellissime composizioni sono state segnalate anche nell’ultima edizione del Premio Turoldo , e cliccando sul link possiamo ascoltare i testi e le musiche dell’autrice.

Ma io credo che la cosa migliore sia quelli di ascoltare la stessa Autrice, che scrive la presentazione del suo libro:

“Ho ascoltato le parole della gente e della natura.
Ho imparato molte cose senza leggerle sui libri.
Sono cresciuta in barca, con mio nonno che era (anche) un pescatore.
Con lui, in quel mondo d’acqua e di silenzio, ho capito subito di quanta ricchezza potevo beneficiare.
Ho fatto in modo di prendermi tutto quanto è stato possibile, come fanno i ladri quando rapinano nelle banche. A quel bottino attingo tutt’oggi, nonostante il trascorrere del tempo, nonostante le piene e le siccità.
Da sempre, a chi ho incontrato, ho raccontato di questa “vicenda” e di questo “bene” ricevuto.
Dal silenzio del Fiume e della valle esce il suono corale della Natura. Voci, colori, odori e gesti ripetuti a fabbricare la storia di tanta gente e di tanta vita. Gente semplice, nostrana, ma con la forza della verità e dell’essenzialità.
“Dadià dia Fiüma”, mi diceva mia nonna, “bisogna cha fai sapii cosa ‘òl dir – pasàr dadià dia Fiüma-“.
Quasi come Eduardo, il grande Eduardo quando dice: “Ha da passa a nuttata”. Lei, senza saperlo, mi diceva la stessa cosa.

La Fiuma. È (anche) questo il nome con cui si chiama il Po e se ne parla.

Un fiume al femminile, un fiume di doni e di donne. Donne che hanno contribuito, con la forza delle loro mani e del loro cuore a costruire il nostro presente. Un fiume di case, di terra, di figli, di fuoco, di cenere bollita sopra lenzuola insaponate, battute sugli scanni a mondare gli inverni, e panni risciacquati nell’acqua del Po e dei fossi, candidi di fatica e di innocenza.

“Pasàr dadià dia Fiüma”: traversata di donne e di uomini nel senso d’attesa, di pazienza, di fiducia, di sogno, di lotta e di rinascita.
Allora il volto, il corpo si plasma di un unico sguardo che, come quello del Fiume, è solo di verità. La durezza del fluire è dentro ogni piega, ogni respiro, ogni meandro.
Nello stesso tempo è sguardo trasparente sulla consapevolezza che vivere la vita è accoglienza, rispetto, dignitosa, tenace ricerca.
È questo che irradia il volto, nonostante la fatica e il disincanto.
Questo ho appreso ascoltando il silenzio del Fiume e della valle. Questo ho appreso guardando attenta dentro gli occhi di mia nonna e di tante altre donne e uomini che ho incontrato e in cui ho riconosciuto frammenti della mia immagine. Questo è il bottino a cui attingo da sempre.

Il Po, la Fiüma…eterno / eterna, implacabile come la vita.”

Io non so se la critica odierna, “militante”, consideri i testi di Ornella dei testi poetici: per me lo sono, perché in questi testi c’è la consapevolezza della ricerca poetica, non c’è soltanto il racconto ma l’interrogazione, il brillare dei significati nella loro polisemia. Ovviamente la collusione con la musica, ancorché folkloristica, ce li rende sospetti e ci fa arricciare il naso, ed è pur vero che in alcuni passaggi si avverte il “cedere” della poesia di fronte alle esigenze del fraseggio musicale, ma è anche vero il contrario, che una poetica di questo genere, per sostenersi, ha bisogno della musica folkloristica e, infine, le cose sono nate così in testa all’autrice, come musica che non può fare a meno della poesia e viceversa. Perché le poesie dei dotti, piene di cultura e di sapienza, meritatamente commentate sui manuali di critica, probabilmente saranno dimenticate in pochi decenni, mentre le semplici canzoni di Ornella, probabilmente risuoneranno in mente a chi le ascolta, anche dopo decenni.

Bisognerebbe decidersi anche, a fare un po’ di chiarezza, smettere di chiamare “artisti” certi strimpellatori della domenica e invece riconoscere la dignità di “poeti” a molti cantautori italiani che scrivono e hanno scritto con serietà e con attenzione al linguaggio, come i trovieri e i trovatori medioevali. Io credo che Ornella ci starebbe bene, in una siffatta categoria che sia finalmente riconosciuta anche dalla critica “dotta”, con altri nomi, come Luigi Tenco, Fabrizio De André, Francesco Guccini, e molti altri. Per me sono poeti, bravi o meno, poco importa, ma veri artisti.

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